L’applicazione concreta della co-progettazione risente molto dell’evoluzione storica dell’istituto e del dibattito che ha suscitato nel tempo. Anche a causa della battaglia per la difesa della legittimità di questa particolare forma di esternalizzazione di un servizio da parte della pubblica amministrazione nei confronti degli enti del Terzo settore (ETS), per contrastare la non condivisibile posizione assunta dal Consiglio di Stato con il parere n. 2052/2018, prevale oggi l’impostazione per cui la co-progettazione dovrebbe essere caratterizzata da una serie di aspetti di carattere economico. Tra questi, come previsto dalle Linee guida ministeriali (d.m. 31 marzo 2021, n. 72), vi è la rendicontazione delle spese sostenute, in ragione della riconducibilità delle risorse riconosciute agli ETS ai contributi, di cui all’art. 12, l. n. 241/1990, piuttosto che a dei corrispettivi veri e propri.
Infatti, come è noto, a partire dalle Linee guida ministeriali del 2021, la legittimità della co-progettazione – intesa in definitiva solo come assenza di cortocircuiti con la disciplina degli appalti pubblici – è stata ancorata alla natura dell’erogazione da parte dell’amministrazione all’ente gestore che non si configura come un corrispettivo, ma solo come rimborso delle spese anticipate. Si tratta di un requisito non previsto dallo scarno art. 55 del Codice del Terzo settore (CTS) sulla co-progettazione, a differenza del successivo art. 56 sulle convenzioni con Associazioni di Promozione Sociale (APS) e con Organizzazioni di Volontariato (ODV), ma che viene invece richiesto dalle Linee guida ministeriali del 2021.
In realtà, non si tratta di un elemento poi così caratterizzante, visto che secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea la circostanza che sia previsto per un servizio il mero rimborso delle spese sostenute non costituisce un elemento decisivo affinché un contratto esuli dalla nozione di appalto pubblico (cfr. la sentenza c.d. Spezzino, 11 dicembre 2017, C-113/13), tanto che chi lavora negli affidamenti di servizi sociali è abituato ad appalti di servizi per cui si richiede la rendicontazione delle spese.
Dopodiché, non è tanto l’onere burocratico della rendicontazione ad essere problematico, quanto l’approccio che basa la distinzione dagli appalti pubblici su aspetti di carattere economico; ne derivano tanto la richiesta agli enti del Terzo settore di onerose compartecipazioni, quanto la resistenza di alcune amministrazioni a rimborsare certe voci di spesa. Quali siano le spese ammissibili al rimborso, in effetti, non dovrebbe essere un tema particolarmente controverso, restando questo aspetto nel solco delle numerose ipotesi di progetti o servizi finanziati dalla pubblica amministrazione che prevedono il medesimo meccanismo.
Le stesse Linee guida, con riferimento alle convenzioni di cui all’art. 56 CTS, ma con una previsione che può essere estesa per analogia anche alla co-progettazione, rinviano alla circolare n. 2 del 2 febbraio 2009 del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali sulla rendicontazione delle attività finanziate dal Fondo Sociale Europeo nell’ambito dei programmi operativi nazionali (PON).
Con riferimento alle spese ammissibili per il rimborso, in linea con la prassi consolidate con riferimento a varie tipologie di progetti a rendicontazione, la circolare del 2009 prevede anche il rimborso di costi indiretti su base forfettaria e delle spese relative alle risorse umane. Queste ultime riguardano sia personale interno, con riferimento al CCNL di riferimento, sia personale esterno, sia figure di coordinamento.
In questo contesto, risulta davvero poco comprensibile che la giurisprudenza amministrativa – sia pure incidentalmente e mai come unico profilo rilevante nel contesto di situazione complesse – abbia dubitato dell’ammissibilità nella co-progettazione del rimborso di spese per le risorse umane e di spese generali/costi indiretti.
Ad esempio, si è data molta (forse troppa) risonanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4540/2024, che ha ritenuto una decisione di un Comune di utilizzare la co-progettazione anziché un appalto pubblico illegittima in ragione della presenza di alcuni indici che ponevano in dubbio vi fosse la “gratuità” della prestazione. Accanto ad altri rilievi (è importante ricordarlo), quali il regime di fatturazione e l’eccessivo grado di dettaglio della descrizione del servizio nel bando, la sentenza ritiene indice di non gratuità la previsione del pagamento delle spese di gestione, dei compensi agli operatori, del rimborso delle spese ai volontari, della reribuzione agli esperti. Dalla pronuncia emerge purtroppo ancora l’impostazione per cui l’unica garanzia che non si tratti di un appalto mascherato sarebbe che la co-progettazione si svolga “in perdita”.
Tale impostazione è fallace, innanzitutto, perché non considera che la stessa fase di progettazione congiunta insita nella co-progettazione – i famosi tavoli di co-progettazione a monte della stipula della convenzione e dell’affidamento del servizio – già richiede un’attività onerosa, in cui si impiegano tempo, risorse umane e know-how da parte degli enti del Terzo settore, ma che viene sempre svolta dagli enti co-progettanti a titolo gratuito.
Oltre a tale attività non retribuita, sulla scorta delle Linee guida ministeriali del 2021, negli avvisi spesso si richiede agli enti di compartecipare alle spese del servizio, con varie modalità che troppo di frequente si riducono a una mera richiesta economica. Appare a questo punto davvero eccessivo escludere dalla possibilità di rimborso anche alcune voci di costo, che, viceversa, sono tipicamente considerate spese ammissibili nei progetti finanziati con fondi pubblici.
La sentenza n. 4540/2024 non sembra considerare che gli enti del Terzo settore non operano, in ogni caso, per conseguire un utile, in quanto per loro natura reinvestono ogni provento in finalità sociali. Ma – soprattutto – vi è una differenza sostanziale tra il compenso degli operatori, il rimborso delle spese di gestione e l’utile di un ente. Le voci elencate con sospetto nella sentenza a buon diritto rientrano, in realtà, tra le spese da rimborsare. E certo non può essere sostenibile la tesi secondo cui un lavoratore impiegato in un servizio a valle di una co-progettazione non debba essere retribuito.
Il vero paradosso è che negli appalti pubblici si dà ormai molta importanza – almeno sulla carta – agli aspetti sociali, alla congruità dei costi della manodopera, all’applicazione del CCNL corretto, mentre sembrerebbe che in servizi sostanzialmente analoghi a quelli affidati con una gara d’appalto, ma per cui vi è stata una co-progettazione, possa esservi una sorta di “far west” e di vuoto di tutela.
Per farsi un’idea di cosa accade nella prassi, è interessante un recente contributo della Comunità di Pratiche del Forum Terzo Settore pubblicato da welforum.it, che ha realizzato un’indagine sulle forme di rendicontazione nella co-progettazione, da cui risulta che – nella maggior parte dei casi, nel 96% – le amministrazioni riconoscono e rimborsano i costi del personale direttamente impiegato nelle attività progettuali, ma in molti meno il personale impegnato in funzioni di coordinamento (nel 63% dei casi risulta un rimborso completo e in un altro 19% un rimborso parziale) e addetto alla rendicontazione (per cui risulta un 39% di casi con rimborso completo e un 27% di casi di rimborso parziale).
Ciò mentre, come si è visto, le Linee guida ministeriali per le attività finanziate dal Fondo Sociale Europeo del 2009 prevedevano il rimborso di tutte le figure, anche quelle di coordinamento. Né si tratta di mancanze che possono essere coperta dalla voce delle spese generali, che sempre dall’indagine appena citata risultano non essere riconosciute affatto nel 36% dei casi.
Tutto questo si inserisce in un contesto in cui la fossa per la co-progettazione è stata scavata forse inconsapevolmente, anche da alcuni dei suoi stessi sostenitori che, sicuramente in buona fede, dopo il parere del Consiglio di Stato del 2018 si sono affrettati a rimarcarne le differenze rispetto agli appalti pubblici, concentrandosi però sugli aspetti sbagliati, ovverosia quelli economici, anziché sulle finalità civiche e solidaristiche degli enti. Al di là delle dispute teoriche, però, ciò che conta è che i servizi affidati tramite la co-progettazione siano concretamente sostenibili per gli enti del Terzo settore, cosa che, anche a causa del cofinanziamento richiesto dalle amministrazioni, spesso non può avvenire.
Per questo, a parere di chi scrive, le spese generali e i costi del lavoro vanno rimborsate a prescindere dalla tipologia della prestazione. Anzi, è necessario che i costi del lavoro siano oggetto di rimborso applicando il CCNL di riferimento, regola che, tra l’altro, è espressamente prevista da alcune Linee guida regionali e locali.
Da questo punto di vista è passata quasi inosservata la delibera ANAC n. 64 del 25 febbraio 2025, che invece merita di essere segnalata anche come strumento operativo e come argomento utile in evenutali trattative. Pur riguardando le convenzioni ex art. 56 CTS, la delibera dovrebbe – a maggior ragione – trovare applicazione anche alla co-progettazione, considerato che le convenzioni presentano una disciplina ancor più distante dal mercato e che si fondano sul rimborso delle spese rendicontate per espressa previsione di legge.
Nel caso esaminato dall’ANAC era stata contestata, tra l’altro, la previsione di un rimborso spese ritenuto eccessivo, in quanto comprensivo della remunerazione di tutti i fattori produttivi, rendendo quindi, secondo l’istante, la procedura assimilabile a una normale gara d’appalto. L’Autorità ha però ritenuto che la modalità di rimborso adottata dalla ASL non presentasse criticità: in particolare, ha espressamente considerato conforme al sistema anche il rimborso dei costi del lavoro. Trattandosi di una convenzione, l’ANAC ha richiamato la disciplina dell’art. 33, co. 1, CTS, che consente alle organizzazioni di volontariato di assumere lavoratori dipendenti e di avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, purché il numero dei lavoratori non superi il 50% di quello dei volontari. Ne consegue che l’assunto dell’istante – secondo cui sarebbe censurabile il rimborso delle spese sostenute dalle associazioni per il costo del lavoro dipendente – non è risultato fondato. Al contrario, l’ANAC ha chiarito che tali rimborsi sono ammissibili, purché si riferiscano a spese legittimamente sostenute e documentate, nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa speciale di riferimento.
In ogni caso, è evidente a chiunque si confronti con la realtà quotidiana degli avvisi relativi a co-progettazioni, che non si può più rinviare una presa di posizione, in sede normativa o giurisprudenziale, che chiarisca che la differenza sostanziale rispetto ad un appalto non è certo il risultato di “andare in perdita”. Questo principio deve valere, in primo luogo, per la definizione di “compartecipazione” e di “cofinanziamento”, nonché quando si valutano le spese ammissibili al rimborso.
Affidare a un ente gestore un servizio (sociale, ma anche ad esempio culturale) in perdita resta un’operazione priva di logica: compromette la qualità delle prestazioni e il benessere degli utenti, mette a rischio la posizione dei lavoratori e delle lavoratrici e, soprattutto, non trova alcun fondamento nell’ordinamento. Il contributo che gli enti del Terzo settore apportano a una co-progettazione non consiste certo in risorse economiche – che devono invece essere adeguatamente rimborsate – ma nel valore aggiunto delle competenze, delle relazioni con la comunità, della capacità di innovazione sociale e, soprattutto, delle finalità civiche e solidaristiche che ne orientano l’azione.