Con le nuove “Disposizioni in materia di lavoro” torneranno le “dimissioni in bianco”
L’art. 9 del Disegno di legge N. 1532-bis denominato “Disposizioni in materia di lavoro” contiene una norma che, se approvata, rappresenterebbe un grave balzo indietro della civiltà giuridica.
La disposizione normativa prevede che “ All’articolo 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, dopo il comma 7 è inserito il seguente: « 7-bis. In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a cinque giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo ».”
Il “presente articolo” è l’art. 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 che prevede che “le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche […]” cioè tramite una comunicazione da rendere ai patronati.
Questa disposizione è stata annunciata dal Governo come antidoto contro i “furbetti della Naspi”, ovverosia lavoratori o lavoratrici che pretenderebbero di essere licenziati dai datori di lavoro appunto per ricevere il sussidio che invece non è previsto – salvo i rigidi casi giusta causa – in caso di dimissioni. Scansafatiche che non hanno voglia di lavorare e vogliono poltrire sul divano pagati dai noi contribuenti.
E questo per proteggere le imprese dal dover pagare il ticket previsto in caso di licenziamento.
Ecco la storiella: i poveri imprenditori costretti a pagare 1500 euro ricattati dai soliti fannulloni.
Ma questa storia non è solo falsa, di più, è pericolosa, perché non è che una nuova puntata della efficace costruzione ideologica della destra che per amicarsi i primi, arma i penultimi contro gli ultimi.
Dobbiamo dirlo con forza: è tutto finto.
L’obbligo di comunicazione telematica delle dimissioni – introdotta dalla legge Fornero del 2012 e prevista come detto dall’art. 26 dlgs 151/2015– ha posto fine alle dimissioni in bianco o, rimanendo nella metafora, grigie.
Si trattava di un sistema di soggiogamento del lavoratore.
Nei casi più gravi, il lavoratore, al momento dell’assunzione, era tenuto a firmare, appunto, un foglio bianco che il datore compilava a tempo debito.
Ma poi vi erano casi in cui il lavoratore veniva mandato via senza le formalità e le garanzie del licenziamento, per poi essere ritenuto dimissionario. L’unica possibilità per il lavoratore era la difficile, se non impossibile, prova di essere stato cacciato oralmente.
Come detto, la legge Fornero, prima, e la L. 151/2015, dopo, hanno reso tutto chiaro: chi intende recedere il rapporto di lavoro lo deve comunicare formalmente.
L’obiettivo della disposizione in via di approvazione è quella di tornare alla condizione di confusione e soggiogamento del passato.
Il datore potrà cacciare il lavoratore oralmente, per poi accusarlo dopo 5 giorni di essersi assentato senza giustificazione.
Inoltre, non si fa in maniera limpida perché appunto l’arretramento civile è notevole, troppo forse anche per questa Destra.
Si imposta un arzigogolo tramite un rovesciamento di senso. L’assenza ingiustificata, che è una giusta causa di licenziamento, cioè un motivo per cui il datore può mandare via il lavoratore – ma solo con tutte le garanzie, comunicazione scritta, contestazione disciplinare, fino all’onere della prova a carico del datore ecc..- si tramuta in dimissione tacita, cioè nel suo contrario.
Tutto è così contorto che si può sperare che la nostra guerriglia giudiziaria possa arginare, almeno in parte, questo mostro giuridico. Ma questo viene dopo.
Adesso il problema è un altro.
Contro questa disposizione non si è sollevata una protesta all’altezza del rischio.
E questo è molto grave, non solo perché si continuano a lasciare soli i più deboli, che saranno maggiormente colpiti, ma perché si trascura la funzione profonda di scardinamento del sistema che norme come questa realizzano.
Si tratta di disposizioni di legge – per fortuna per adesso solo di un disegno di legge – che mirano, per così dire, a tarpare le ali della Costituzione.
La Nostra Carta cita la parola “lavoro” e “lavoratori” 28 volte, di cui tre nei principi fondamentali. La parola “imprenditore”, Mai.
Il lavoro è inteso come portatore di interessi generali e i lavoratori gli interpreti dei valori migliori.
La Destra sa che la Costituzione si scardina non solo con riforme strutturali, come autonomia differenziata e Premierato forte, ma anche lavorando ai fianchi i valori fondanti, come la funzione centrale del lavoro.
Lo dico più chiaramente: nel progetto della Destra è centrale che il lavoratore sia soggiogato e denigrato.
E un intervento che esalta la disonestà dei lavoratori tanto da dover introdurre una norma generale astratta, che significa una norma che regola infiniti comportamenti – come a dire quanto è diffuso il problema. Ecco, è proprio quello che ci vuole per colpire il cuore della civiltà giuridica del lavoro.
Il pericolo quindi è alto.