La l. n. 49/2023 ha introdotto la disciplina dell’equo compenso il cui fine è quello di garantire compensi proporzionati e dignitosi per i professionisti (come quelli iscritti agli ordini e collegi quali avvocati, ingegneri, geologi, farmacisti etc…). Tali compensi sono individuati attraverso decreti ministeriali che fissano dei minimi tabellari in base alla professione, come stabilito dall’art. 1 della legge suesposta.
Sin dall’entrata in vigore della l. n. 49/2023, si è discusso dell’applicabilità di detti minimi nell’ambito degli appalti pubblici. Nonostante l’art. 8, co. 2, d.lgs. n. 36/2023 sancisca che “la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”, ciò non è bastato a fugare i dubbi sulla sua applicabilità.
La stessa ANAC ha fornito diverse interpretazioni in merito: lo schema in consultazione del bando tipo n. 2/2023, riguardante gli appalti di servizi di architettura e ingegneria, ha individuato il problema, offrendo soluzioni diverse tra cui la possibilità di limitare il ribasso alle sole spese generali o addirittura di svolgere le gare a prezzo fisso, così da garantire “automaticamente” l’applicazione della disciplina in esame. Il divieto del ribasso degli onorari dei professionisti è stato confermato incidentalmente nel parere di precontenzioso del 20 luglio 2023, n. 343, nel quale l’Autorità ha rincarato la dose, sostenendo l’obbligo delle stazioni appaltanti di uniformare i compensi a quelli stabiliti dalla disciplina cui l. n. 49/2023 in quanto questi “assurgono a parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e architettura (…)”
Tuttavia, meno di un anno dopo, nel parere del 28 febbraio 2024, n. 101, l’Autorità ha ritenuto legittimo un bando che non contemplava la disciplina dell’equo compenso, non ritenendola eterointegrabile. Ciò implica che, laddove non prevista tale disciplina, la stazione appaltante non possa legittimamente escludere gli operatori che abbiano operato un ribasso sull’onorario dei professionisti. A fondamento di questa tesi, vi sarebbe l’assenza di chiare indicazioni normative, non potendosi comminare a carico dei partecipanti una “sanzione” espulsiva per aver presentato un’offerta non conforme alla l. n. 49/2023, quando non richiamata nel bando. L’applicazione o meno della disciplina sull’equo compenso diverrebbe, a questo punto, una mera scelta discrezionale.
Sembrano quindi prospettabili tre possibili soluzioni interpretative:
- Non applicabilità della disciplina dell’equo compenso alle procedure di evidenza pubblica con il nuovo Codice dei contratti pubblici. Secondo questa tesi, ben riassunta dall’ANAC nello schema di bando tipo 2/2023, fissare minimi tabellari sugli onorari produrrebbe effetti anti concorrenziali e contrasterebbe con i principi dell’Unione europea.
- Inapplicabilità dell’eterointegrazione dei bandi di gara. Data la mancanza di coordinazione tra le due discipline, come prospettato dall’ANAC nel già citato parere precontenzioso del 2024, non sarebbe possibile integrare la disciplina dell’equo compenso nel bando ove da questo non sia espressamente prevista. L’amministrazione non sarebbe tenuta ad inserire nei bandi le previsioni di cui alla l. n. 49/2023 e di conseguenza ad applicarla.
- Compatibilità della disciplina dell’equo compenso con il Codice dei contratti pubblici ed integrazione dei bandi. Il compenso professionale fissato dalle tabelle ministeriali sarebbe inderogabile, non soggetto a ribasso: la normativa sarebbe imperativa anche nella disciplina dei contratti pubblici. La maggiore implicazione di questa tesi è la legittima esclusione di un operatore economico che effettui un ribasso o la cui offerta economica preveda compensi al di sotto dei minimi tabellari stabiliti dalla legge, a prescindere dalla circostanza (la quale a questo punto diverrebbe mera contingenza) che la previsione sia prevista dal bando di gara.
In particolare, l’ultima soluzione prospettata è quella accolta anche dal giudice amministrativo, che si è pronunciato già due volte in merito alla delicata in questione: la sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. V-ter, 30 aprile 2024, n. 8580, infatti, ha escluso l’incompatibilità della disciplina in questione con la normativa dell’Unione europea, sostenendo che l’equo compenso persegua “obiettivi di protezione del professionista” e garantisca – anche – il mantenimento di un certo standard qualitativo delle prestazioni nei confronti della pubblica amministrazione.
Il TAR Veneto, Sez. III, 3 aprile 2024, n. 632 si è spinto fino a sostenere che la legge di gara vada eterointegrata con la legge sull’equo compenso: una soluzione del tutto in antitesi rispetto al parere dell’ANAC n. 101/2024 già citato. Il TAR, nella motivazione della sentenza, sconfessa l’interpretazione restrittiva dell’Autorità valorizzando il dato testuale contenuto nella l. n. 49/2023 che, al comma 3, ha introdotto un regime di nullità relativa attivabile dal professionista per le clausole che pattuiscano un pagamento iniquo, sottolineando che l’ambito di applicazione della legge (determinato dall’articolo 2 della stessa) si estenda anche “alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione (…)”. Il Collegio ha riconosciuto nel combinato disposto dei primi tre articoli della l. n. 49/2023 un’ipotesi di norma imperativa per cui la disciplina è da ritenersi eterointegrabile nel bando, in quanto solo attraverso tale meccanismo sarebbe “tutelato l’affidamento degli operatori economici.”
Benché sembrerebbe che stia iniziando a formarsi un orientamento giurisprudenziale sul tema, l’applicazione concreta della normativa sull’equo compenso è comunque rimessa, in ultima battuta, alle stazioni appaltanti. È quindi apprezzabile l’invito dell’ANAC di aprile 2024 alla Cabina di regia per il Codice dei contratti pubblici presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con cui ha esposto le difficoltà di coordinazione delle due discipline, auspicando un intervento dei ministri competenti.