L’11 gennaio 2024 è stata depositata la sentenza n. 4 con cui la Corte Costituzionale dichiara l’incostituzionalità dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (c.d. legge finanziaria 2001).
Si censura una violazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost.
Prima di arrivare alle nostre conclusioni, è necessario fare alcune premesse.
Cos’è la Retribuzione Individuale di Anzianità (R.I.A.)?
È una posta retributiva che si è applicata per i dipendenti del comparto pubblico (rectius dei Ministeri). L’art. 9 commi 4 e 5 del D.P.R. n. 44 del 1990 prevedeva una maggiorazione della R.I.A..
La maturazione nonché il computo dell’anzianità di servizio (di cinque anni) ai fini del riconoscimento della maggiorazione R.I.A. (e del suo eventuale raddoppio o quadruplicazione laddove fossero stati maturati, invece, dieci o venti anni di anzianità) aveva come iniziale data di scadenza il 31 dicembre 1990. Il perfezionamento del periodo utile alla maturazione dei cinque anni minimi di servizio (o più) ai fini dell’ottenimento della R.I.A. (o dei suoi incrementi) è stato, poi, prorogato ad opera del dell’art. 7 comma 1 D.L. n. 384 del 1992 fino al 31 dicembre 1993. In altre parole, l’ultimo giorno per maturare gli anni di anzianità sopra descritti si rimandava alla fine del 1993.
Cosa prevedeva la norma annullata dalla Corte?
La norma di cui all’articolo 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 (c.d. legge finanziaria 2001), oggetto di censura da parte del Giudice delle leggi, è stata annullata nella parte in cui prevedeva che l’art. 7 comma 1 della D.L. 384 del 1992, come da conversione, fosse da interpretarsi in tutt’altro senso, cioè che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina ex accordi di comparto del triennio 1988-1990 non modifica la data del 31 dicembre 1990. Il legislatore diceva di interpretare ma, di fatto, abrogava così la proroga al 1993, tornando in vigore il termine del 31 dicembre 1990.
Per quale motivo è stata annullata?
Il legislatore avvalendosi della norma censurata e abusando della sua posizione si sarebbe posto in contrasto con il potere giudiziario, determinando processi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica e facendo leva su una legge che solo formalmente era di interpretazione autentica, ma che, invero, celava una vera e propria abrogazione della norma che prorogava il tempo utile per maturare il diritto alla R.I.A..
In ragione di tutto ciò, la disposizione censurata, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica e in assenza di ragioni imperative di interesse generale, è stata ritenuta incostituzionale.
E adesso?
A nostro parere hanno diritto alla maggiorazione della R.I.A. i lavoratori e lavoratrici che hanno maturata i 5 anni di servizio entro il 1993.
Non si può, certo, ritenere prescritto il loro diritto, in quanto l’art. 2935 c.c. prevede che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
Solo adesso questi lavoratori possono fare valere il loro diritto, perché prima una norma lo vietava.
Sono esclusi solo i “vecchi giudizi” perché ogni giudicato rimane fermo anche a seguito dell’intervento della Consulta.
In conclusione, riteniamo che le conseguenze della pronuncia analizzata potrebbero essere veramente impattanti per la P.A., considerata, soprattutto, la concreta possibilità che hanno i lavoratori del comparto pubblico di agire per vedersi riconoscere il diritto maturato.