Gli appalti pubblici per l’affidamento della gestione dei centri antiviolenza e delle case rifugio per le donne vittime di violenza sono caratterizzati da una disciplina specifica – che si aggiunge al Codice dei contratti pubblici e alla normativa di settore dei servizi sociali – volta a garantire l’adozione di un corretto approccio al fenomeno della violenza di genere.
Come è facilmente intuibile, un aspetto che risulta particolarmente delicato e rilevante è quello dei requisiti dei soggetti che si candidano a gestire i centri antiviolenza (CAV) e le case rifugio.
Infatti, l’art. 5-bis, co. 3, d.l. n. 93/2013 (convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, è molto netto nel richiedere che chi gestisce i centri deve “operare nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza”, abbia “maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne” e che utilizzi “una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato”.
La ragione di tale previsione è che la gestione di un CAV è peculiare rispetto allo svolgimento di qualunque altro servizio sociale e deve essere affidata a soggetti che non abbiano una generica esperienza nei servizi sociali, ma che – a tutela delle utenti del servizio – siano in grado di garantire la compatibilità dell’approccio metodologico alla violenza di genere con la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013) e le altre fonti in materia.
I requisiti minimi dei centri antiviolenza e delle case rifugio sono di recente stati rivisti da un’intesa della Conferenza unificata (Rep. Atti n. 146/CU del 14 settembre 2022), che sostituisce sul punto la precedente del 27 novembre 2014.
Rispetto al testo precedente, che non a caso era stato reso più stringente sul punto da alcune normative regionali, la nuova versione risolve finalmente alcune problematiche che erano state da tempo sottolineate da chi operava nel settore.
La nuova intesa, infatti, richiede fra l’altro, che i soggetti gestori dei centri antiviolenza e delle case rifugio, accanto a una serie di requisiti strutturali e organizzativi, debbano:
- avere nel loro statuto da almeno cinque anni gli scopi del contrasto alla violenza maschile e di genere, del sostegno, della protezione e del supporto delle donne che hanno subito o subiscono violenza e dei/delle loro figli/e e dell’empowerment;
- perseguire statutariamente, in modo esclusivo o prevalente, le attività di prevenzione e contrasto alla violenza maschile, valutate anche in relazione alla consistenza percentuale delle risorse destinate in bilancio;
- possedere una consolidata e comprovata esperienza quinquennale consecutiva in attività contro la violenza maschile sulle donne.
Rispetto al testo precedente, le novità principali sono tre. Innanzitutto, si precisa che l’oggetto statutario il contrasto alla violenza maschile e di genere deve essere presente nello statuto dei soggetti che si candidano a gestire i centri da almeno cinque anni. Si tratta chiaramente di una previsione opportunamente volta ad evitare inserimenti nello statuto delle finalità richieste “all’ultimo minuto”.
In secondo luogo, al fine di dare concretezza alla richiesta che le attività di prevenzione e contrasto alla violenza maschile siano perseguite statutariamente “in modo esclusivo o prevalente”, si inserisce il parametro di valutazione della consistenza percentuale delle risorse destinate in bilancio.
Infine, i requisiti della finalità statutaria esclusiva o prevalente e quello della consolidata e comprovata esperienza quinquennale in attività contro la violenza maschile sulle donne sono chiaramente richiesti in via cumulativa e non alternativa.
L’intesa prevede anche che, con riferimento a questi particolare servizi, sia esclusa la possibilità di fare ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 89 del Codice dei contratti pubblici.
La nuova intesa della Conferenza unificata, dunque, nel prevedere requisiti più stringenti per i gestori dei centri, tutela maggiormente le utenti dei servizi, nello spirito della Convenzione di Istanbul e delle altre fonti nazionali e internazionali in materia.
Al contempo, la stessa intesa incoraggia le amministrazioni a utilizzare gli istituti collaborativi previsti dal Codice del Terzo settore quali la co-progettazione e la co-programmazione, per valorizzare le esperienze e competenze degli enti del Terzo settore che operano in questo settore così significativo e peculiare.